Claudia Turroni, in arte Amira, è una danzatrice e insegnante di danza del ventre. Dopo una solida formazione conseguita con insegnanti e figure di livello internazionale, tra cui Sabuha Shannaz, Yasmin Nammu, Zaza Assan e Sonia Ochia, nel 2011 fonda l’Accademia di Danza del Ventre Amira Danza a Cesena, nell’ambito della quale inizia ad approfondire le connessioni tra movimento, espressività e narrazione simbolica che diverranno la cifra del suo metodo di insegnamento e di tutte le sue produzioni artistiche.
La danza del ventre come universo vivo e inclusivo ove confluiscono naturalmente altri linguaggi, in particolare quello teatrale. Con questa visione, dal 2013 Amira avvia una serie di collaborazioni con attori e gruppi, quali Niko Di Felice, Anna Benedetta San Filippo, Alessia Brivio, la Compagnia Fuori Scena, Monica Briganti e il Teatro delle Lune e numerosi musicisti, tra cui Fiorenzo Mengozzi (fisarmonica e darbouka), Thomas Barbalonga (violino), Jader Nonni (percussioni e handpan), Lorenzo Gasperoni (chitarre), Mauro Gazzoni (percussioni). La continua ricerca di uno stile che consenta di esplorare territori nuovi in ambito espressivo, avvalendosi al contempo di canoni tradizionali e contaminazioni, diviene il fil rouge del suo percorso.
Oltre che danzatrice e insegnante, Amira è da anni ideatrice, coreografa e drammaturga di spettacoli che volgono delicatamente lo sguardo al mondo femminile e al tema dell’anima (tra i più recenti, Nel Ventre – Omaggio in danza alla “pittora” Artemisia Gentileschi, 2018; Nigredo – La Danza Alchemica, 2019; È solo la voce che resta – Omaggio in danza alla poetessa persiana Forugh Farrohkzad, 2020; Metamorfosi – Racconti del divenire, 2022; Il tè nel deserto – Viaggio di un corpo e un’anima, 2023; Kantico – Dell’amore umano, 2024; Le Baccanti – Una fiaba sovversiva, 2024). Le sue performance, arricchite dalla fusione di stili musicali che spaziano dal repertorio arabo classico alla musica lirica e metal, hanno, inoltre, spesso trovato collocazione nell’ambito di contesti artistici di rilievo, come i reading della poetessa Naïs Aloisi, le esposizioni dello scultore Leonardo Lucchi e l’installazione pittorica “Lei” di Mauro Drudi presso la chiesa di Sant’Agostino a Cesena.
La danza del ventre non è un’invenzione mediorientale legata al colonialismo europeo, ma una manifestazione risalente a epoche arcaiche in cui la danza del bacino e l’ondeggiare ritmico dei fianchi consentiva alle donne di coltivare la libera a pura istintività e ritrovare la sintonia con l’archetipo femminile, come sostiene Ronit Mandel Abrahami nel suo interessantissimo libro “La poesia della danza del ventre come voce dell’archetipo femminile”. Presso le civiltà che prosperarono in tutto il mondo in tali epoche, il ventre rappresentava il luogo sacro della madre e della terra, della vita che si rigenera e si ripete ciclicamente. La celebrazione dell’esistenza stessa e della connessione cosmica.
La primigenia danza femminile, seppure con le stratificazioni e le contaminazioni avvenute nel tempo, attingendo profondamente alla dimensione interiore e alla spiritualità, continua ancor oggi a dar vita a bellissimi movimenti e a esprimere come nessun altra i misteri e la potenza dell’universo femminile, risvegliandone l’energia creativa.